ALESSIO PATALOCCO ATELIER

L'ATELIER

” Nel caso di Alessio non sto parlando di questo genere di collaborazione, ma di una progettazione integrata con l’esterno, oltre il suo studio e i suoi collaboratori.

Sto parlando di una progettazione che si serve degli altri e che si avvale della collaborazione di altre forze, altre energie, presenti sul territorio. Si dirà che è già successo e che fin dagli anni sessanta gli architetti che devono progettare case vanno dai comitati di quartiere e, nella loro “immensa benignità democratica”, ascoltano le massaie rurali che dicono che hanno bisogno del balcone per stendere i panni, ad esempio, o che il forno abbia dimensioni adeguate. Insomma, quelle cose che si dicono in genere nei comitati di quartiere.

Noi qui stiamo parlando di un altro genere di progettazione: quella che integra nel proprio disegno opere, artefatti ed esperienze di gruppi indipendenti. Una progettazione che si fa attraverso questo tramite, non frutto di uno studio professionale più o meno brillante, più o meno dotato di fotocopiatrici, scanner, macchine del caffè o altre cose; piuttosto di una relazione con gli artisti e le intelligenze creative di quel territorio. Si tratta di una progettazione integrata che non tiene conto in maniera paternalistica di eventuali comitati di quartiere sfrattati, di casalinghe che esprimono i loro desiderata sulla collocazione della doccia o del bidet, ma di una partecipazione attiva con le emergenze culturali del territorio. Quindi non si tratta solo di cimentarsi coi problemi ma anche col tentativo di risolverli in chiave artistica.

Ad esempio la street art diventa un elemento integrato della progettazione con un “sottotesto”: nel caso di Alessio non è detto che la treet art o qualsiasi altro intervento sia “guidato per le dande” dall’architetto che rimane il “dominus” di tutto; nel suo caso l’architetto è il promotore di una creatività diffusa, distribuita, che non controlla. È un bene che non la controlli, perché così si dispone sul territorio in una maniera più partecipata e anche più realistica.

Non è come dire: “io sono architetto e costruisco, ad esempio, la casa del fascio. Perché la costruisco così? perché sono fascista, perché ho visto gli interventi di Roma, sono stato anche a Como, ho visto la casa del fascio di Terragni, un po’ avveniristica, però voglio fare una torre littoria!” “ma la popolazione l’hai sentita?” “no, la popolazione deve venirci perché io la faccio, sono l’architetto, prendo i soldi, il committente si fida di me, e voi andate un po’ per i campi…”.

Enrico Menduni